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Prendersi cura del Corpo di Cristo

 

Cari amici,

per la Quaresima, un tempo in preparazione alla Pasqua, ascoltiamo una riflessione tratta da  “E tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento” (cfr. pag. 13-15), un testo di spiritualità che attinge alla fonte del mistero della morte e della risurrezione di Gesù. Può essere un buon viatico nel nostro cammino per stimolarci ad una più profonda riflessione.

 

Con la mente andiamo a Betania dove ebbe luogo un gesto che sarà ricordato per sempre.

Sei giorni prima della pasqua ebraica, siamo con Gesù a Betania, villaggio non lontano da Gerusalemme, in casa di Lazzaro, Marta e Maria; questi amici gli offrivano una cena.  Lazzaro era il redivivo; Gesù, infatti, lo aveva riportato alla vita, dopo che una malattia lo aveva trascinato alla morte e per quattro giorni era stato chiuso nel sepolcro. Mentre era a cena, «Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?” … Gesù allora disse: “Lasciatela fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura”» (Gv 12, 3-5.7).

Gesù, con quest’ultima espressione, sta guardando in prospettiva. Maria di Betania non avrà più la possibilità di manifestare il proprio affetto al Maestro, e il Maestro accetta quel gesto per il giorno della sua sepoltura. In effetti, la resurrezione anticiperà ogni altro gesto delle donne che sarebbero andate, dopo la pasqua ebraica, a completare l’unzione del corpo del Signore.

L’incontro con la persona di Gesù, sacramentalmente nel battesimo ed esistenzialmente nelle scelte di vita che abbiamo fatte (matrimonio, vita religiosa, lavoro, relazioni sociali) ci permette di compiere la stessa opera di Maria di Betania, ossia di ungere anche noi il «Corpo di Cristo»; un’opera di amore verso una realtà, la Chiesa, nella quale Gesù ora vive.  Mi riferisco alla Chiesa nella sua dimensione universale e locale, ma, in particolare ai suoi fedeli, ai rifugiati e ai poveri che Gesù ha lasciato a noi  («I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me»[Gv 12, 8]), al fine di contribuire in qualche modo al bene e alla pace così necessarie oggi in tempi di individualismo esasperato, di rivendicazioni personali, di indifferenza, di violenze di ogni genere.

Ogni cristiano, dunque, continua la stessa opera di Maria di Betania, intendendo avere a cuore la persona di Gesù vivente nella Chiesa.  Conoscere questo «Corpo del Signore» e averne cura nelle sue membra, è l’alto privilegio che può assumere ogni battezzato.

Abbiamo, in verità, effettivamente bisogno, più che mai, di curarci di questo «Corpo di Cristo» ferito da innumerevoli aggressioni, più pesanti e profonde se avvengono per mano di chi era dei suoi. I ragionamenti contorti e moralistici non devono trovare spazio, allo stesso modo di come Gesù liquidò subito, e senza remore, quelli ipocriti di Giuda.

È fondamentale per ogni cristiano comprendere che la Chiesa nel mondo, come voluta e intesa da Cristo e a noi lasciata dagli Apostoli, è autentico «sacramento, o un segno, o ancora uno strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium 1). È necessario ridare a questo Corpo la sua pienezza soprannaturale, contro i tanti tentativi di intrappolarlo semplicemente in una prospettiva sociologica e orizzontale senza futuro.

La sacramentalità della Chiesa tocca, infatti, la sua più intima e profonda natura, ossia la coscienza che essa ha di sé, infusale da Cristo, che la rende non una semplice organizzazione umana, ma un dono di Dio per il genere umano con una missione alta, nobile, spirituale, morale, e, al tempo stesso, strumento di pace e di unione tra i popoli, al di là dei calcoli ideologici, politici o militari.

Essere Chiesa, dunque, significa partecipare alla missione salvifica e di lode a Dio propria di Gesù ed essere al servizio dell’uomo, tanto più in tempi di inquietudine, di mutamenti sociali e di squilibri che violano, non di rado, la dignità, la libertà e la stessa persona umana.

 

Fernando Cardinale Filoni

 

(marzo 2022)