La prima grande celebrazione presieduta dal nuovo Gran Maestro dell’Ordine

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CardinaleFiloni_01022020

Accompagnato dagli alti dignitari della nostra istituzione pontificia, i Luogotenenti italiani e i Cavalieri e Dame di Roma, il cardinale Fernando Filoni ha voluto celebrare una messa il 1° febbraio presso la Chiesa di Santo Spirito in Sassia, sita di fronte a Palazzo della Rovere, sede del Gran Magistero dell’Ordine del Santo Sepolcro, per iniziare in preghiera la sua missione come Gran Maestro.
Per l’occasione, molti i membri dell’Ordine e amici che si sono stretti attorno a lui nella chiesa gremita per affidare al Signore il suo ministero e il cammino dell’Ordine nei prossimi anni.
Dopo la celebrazione eucaristica, Sua Eminenza ha voluto incontrare tutti i partecipanti a Palazzo della Rovere, salutando ciascuno personalmente.
Di seguito l’omelia pronunciata in occasione della sua prima messa pubblica come Gran Maestro.
 

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

Ho desiderato, fin dal primo momento della mia nomina alla guida del nostro Ordine, incontrarvi per pregare e chiedere a Dio il dono della luce e della sua grazia.

Riflettendo sulla nostra speciale missione o chiamata nella Chiesa, il mio pensiero è andato ai brani evangelici in cui si narra la vocazione dei discepoli di Gesù: con loro, infatti, egli avrebbe avviato una profonda relazione umana e l’iter della loro formazione e della sua rivelazione.  Nel Vangelo di Matteo si racconta che il Signore “vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro e Andrea suo fratello … e disse loro: «Seguitemi» … Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello … ed essi subito lo seguirono” (Mt 4, 18-19.21.23); “Gesù vide (anche) un uomo seduto al banco delle imposte e gli disse «Seguimi».  Ed egli si alzò e lo seguì”(Mt 9, 9).  Gesù li incontra ognuno lì dove la vita li ha collocati e i loro sguardi si sono incrociati per sempre.

Mi piace quindi pensare che, anche la nostra chiamata nell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, sia frutto di un incontro e di una chiamata in cui siamo stati, per così dire, scrutati e scelti; allo stesso modo anche di Maria di Magdala presso il sepolcro vuoto; lì lo sguardo e la voce inconfondibile di Gesù risorto, la portarono subito a gridare: “Rabbunì!”, cioè Maestro!; sì, non era il giardiniere, ma il Maestro vivente! (cfr Gv 20, 14-17). Ma quale inquietudine, quale agitazione del cuore e della mente!

Lo stesso si può dire di Paolo - mentre andava a Damasco per arrestare i cristiani - fu scrutato nell’intimo dal Signore; da quell’esperienza, da quell’incontro con il Risorto, da quell’agitazione interiore, egli, il persecutore, percepì la grazia e ottenne la forza che gli cambiò la vita, divenendo il più grande predicatore tra i pagani.

Cari Dame e Cavalieri del Santo Sepolcro, pensare che ciascuno sia stato guardato e amato dal Signore in un momento particolare della propria vita e che il suo sguardo abbia marcato il nostro cuore, ci consente di riflettere sul senso della nostra appartenenza all’Ordine.

Vi apparteniamo non per eredità di casato o di ceto, ma perché chiamati da Colui che è diventato lo spartiacque nella storia dell’uomo; il «Sepolcro vuoto» potremmo dire, è il punto e il luogo dove si incontrano la storia della fine ‘ignominiosa’ e ‘ingiusta’ inflitta a un uomo che aveva fatto del bene, divenuto però ingombrante agli occhi dei capi religiosi e del potere di Roma,  e la storia di Pietro, Giovanni, Maria di Magdala ed altri che costatarono il suo sepolcro vuoto, ma soprattutto riconobbero  Gesù risorto.  Questa storia, la storia di ogni chiamata, continua fino a noi; non si è esaurita.

Davanti a quel sepolcro vuoto e all’incontro con Cristo vivente, si era verificata la più grande trasformazione dell’umanità e si aprivano scenari impensabili circa la convivenza tra i popoli, le relazioni sociali, le dimensioni dello spirito, il senso dell’esistere.  La storia non sarebbe stata mai più come prima.  Gli esseri umani si ritrovavano giudicati dal mistero della croce e della risurrezione: l’amore si sarebbe riqualificato, il bene e il male avrebbero conosciuto il loro chiaro punto di divaricazione, la grazia e la verità, mostrate in Cristo, rivelavano il volto misericordioso di Dio (cfr. Gv 1, 17-18).

Con la scoperta del sepolcro vuoto, che aveva suscitato stupore e costernazione, e poi nell’incontro con il Risorto, che restituiva pace interiore e procurava gioia immensa (cfr. Gv 20, 20), iniziava l’avventura della fede ‘cristiana’.

Per noi è utile ancora riascoltare la forte testimonianza di Pietro e degli altri Discepoli, che, a Tommaso incredulo, gridano: “Abbiamo visto il Signore!” (Gv 29, 25); proprio da quell’incredulità, in cui si intrecciavano umiliazione e fede, nacque l’ultima beatitudine di Gesù che accompagnerà la vita di ogni credente: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”(Gv 20, 29).

È con la medesima fede, umile e rassicurante nel Risorto, che, in sintonia con il Vangelo di oggi, noi vorremmo allora entrare nella barca di cui parla il Vangelo; non si tratta di una barca materiale, ma della barca della vita che spesso naviga nel mare dell’inquietudine del cuore e della mente: non importa se nel navigare della nostra vita si avrà a volte una bonaccia noiosa e essa ci appaia come priva di senso; non importa se siamo scossi come da una tempesta per vento impetuoso e distruttivo; non importa nemmeno se a volte avremo la percezione che la barca sembra rovesciarsi o paia riempirsi di acqua, mentre la paura ci indurrebbe a gridare: “Siamo perduti”(Mc 4, 38), se il Risorto è con noi.

Avere il Risorto nella piccola barca della nostra vita o nella grande barca della Chiesa, sapere che Egli ha promesso di custodirci dal maligno (cfr Gv 17, 15) e nella verità (cfr. Gv 17,17), ciò per noi è garanzia e certezza che al momento opportuno sarà Gesù a minacciare i marosi e griderà al vento: “Basta, calmati!” (Mc 4, 39).

Quali Dame e Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme, noi ripartiamo dallo stesso luogo dove ripartirono per il mondo Pietro, Giovanni, Maria di Magdala e gli altri; ossia, da quel sepolcro vuoto e dall’incontro con Cristo, nostra speranza e nostra intima gioia, sappiamo che Egli dà senso alla nostra esistenza e saremo testimoni del Signore vivente.

A tutti voi qui presenti, e a tutta la grande famiglia delle Dame e dei Cavalieri del mondo, giunga allora il mio più cordiale saluto, il mio apprezzamento e l'assicurazione della mia preghiera.  Il nostro esistere nella vita della Chiesa, consolidato più volte dai Sommi Pontefici, ha come scopo di assicurare che nella Terra Santa dove sono presenti tanti luoghi sacri continui a risuonare il Vangelo e resti viva l’opera di carità, il sostegno alle istituzioni culturali e sociali e la difesa dei diritti di quanti vi abitano.

Queste finalità nel loro insieme ci riportano alla radice neo-testamentaria del nostro impegno in Terra Santa.  Sappiamo che i primi cristiani di Antiochia, a motivo della grave carestia avvenuta tra il 49-50, “sotto l’impero di Claudio”, con encomiabile zelo “stabilirono di mandare un soccorso ai fratelli nella Giudea, ciascuno (offrendo) secondo quanto possedeva”; così essi inviarono i loro aiuti “per mezzo di Barnaba e Saulo”(At 11, 27-30).  Fu un gesto di elevata solidarietà, nondimeno di quelli che Paolo aveva sollecitato anche alle Chiese della Galazia e di Corinto (1 Cor 16, 1-4) e a quello offerto dai cristiani di Macedonia; questi, nonostante “la loro estrema povertà”, avevano mostrato grande generosità: “Posso testimoniare infatti - scrive l’Apostolo nella sua seconda Lettera ai Corinti - che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente, domandandoci con molta insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi” (2Cor 8, 1-6).  Splendida attitudine quella di voler prendere parte all’aiuto dei cristiani in Palestina!

In tutti quei gesti, cari fratelli e sorelle in Cristo, noi troviamo – mi piace ripeterlo - la radice del nostro operare e la finalità che i Sommi Pontefici hanno voluto assegnarci.  Non dobbiamo mai dimenticare che la carità e la solidarietà qualificano l’Ordine equestre del Santo Sepolcro e noi siamo onorati di averle come nostre caratteristiche a favore della Chiesa Patriarcale di Gerusalemme e di tanti fratelli e sorelle nel bisogno che vivono in quella Terra; Terra benedetta dall’Altissimo, ma anche necessitante di pace.

Grazie per la vostra presenza; grazie per la vostra generosità. Grazie per la vostra preghiera. La Beata Vergine Maria, Regina della Palestina vi protegga, a Lei ci affidiamo, e l’Altissimo vi benedica. Amen.