La santità di Gerusalemme non va confusa con la sovranità

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Rav David Meyer

Il Rabbino David Meyer, professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, ha reagito ai fatti internazionali legati allo status di Gerusalemme. Già ospite lo scorso anno sulla nostra rivista annuale, La Croce di Gerusalemme con una densa intervista sul dialogo fra ebrei e cattolici, quest’anno ascoltiamo la sua voce attraverso quanto ha scritto in un editoriale pubblicato su Le Monde lo scorso 8 dicembre dopo l’annuncio del Presidente Donald J. Trump del riconoscimento da parte degli Stati Uniti d’America di Gerusalemme come capitale di Israele, dando istruzioni di trasferire l'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.

Partendo dal presupposto dell’indiscutibile importanza religiosa di questa città per i credenti delle tre religioni monoteiste, il rabbino Meyer afferma che «la ‘santità’ associata a questo luogo, alla quale la tradizione ebraica fa eco a più riprese, non dovrebbe essere confusa con un qualsiasi obbligo di ‘sovranità’. Non ‘possedere’ questa città (in senso politico) non implica assolutamente la perdita del suo carattere simbolico religioso, identitario e legato alla memoria del popolo ebraico».

Dal 1980 Gerusalemme è stata dichiarata “capitale eterna e indivisibile” dello Stato d’Israele dalla legge fondamentale votata alla Knesset. Tuttavia, come il rabbino Meyer sottolinea, è importante ricordare che la Torah (principale testo sacro per gli ebrei) non menziona questa città e il resto del racconto biblico non è sempre concorde riguardo alla sua appartenenza politica. «Piuttosto che la capitale di due Stati, sarebbe più giusto e religiosamente sensato rifiutare l’idea che Gerusalemme possa essere una capitale», continua il rabbino appoggiandosi a due termini propri della tradizione rabbinica che definiscono alcuni oggetti senza proprietario (hekfer) o riservati a fini religiosi e rituali (hekdesh) e quindi non legati ad un utilizzo profano.  

La proposta avanzata dal rabbino Meyer è dunque quella di un «abbandono volontario della sovranità che restituirebbe alla città il suo potenziale di ‘santità’» e termina con una speranza: «che l’idea della ‘Gerusalemme in alto’ attiri verso essa la realtà politica della ‘Gerusalemme in basso’ invece di permettere a quest’ultima di far cadere nel ridicolo del possesso umano l’idea della ‘Gerusalemme in alto’».


(14 dicembre 2017)