La città dove è nato il Principe della Pace oggi brama la Pace

Intervista con il sindaco di Betlemme, Vera Baboun

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La città dove è nato il Principe della Pace oggi brama la Pace Vera Baboun e Mons. Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme, liberano alcune colombe in segno di speranza affinché giunga la pace in Terra Santa

A pochi giorni dalla festa del Natale, abbiamo raggiunto il sindaco di Betlemme, per la prima volta una donna cristiana cattolica. In questa intervista Vera Baboun racconta come la città in cui è nato Gesù vive questo momento dell’anno.


Sindaco Baboun qual è la situazione oggi a Betlemme per quanto riguarda la vita quotidiana dei suoi cittadini e, in particolare, delle comunità cattoliche?

 

La comunità cattolica è parte dell’intera comunità. Quello che succede a Betlemme tocca la popolazione cattolica cosi come tutto il resto della popolazione. Al momento questa città è segregata da Gerusalemme e i fedeli di Betlemme difficilmente riescono ad andare a pregare sul Santo Sepolcro. E’ più facile andare al Santo Sepolcro per chi viene dall’Europa o dall’America di quanto lo sia per un ragazzo di 21 anni di Betlemme.

Non è una situazione normale e noi stiamo combattendo l’anormalità; viviamo questa anormalità e cerchiamo di adattarci. I nostri giovani perdono la vita e ancora non c’è soluzione all’orizzonte.

Vista l’assenza di pace, da Sindaco devo affrontare molte situazioni complicate. Dal momento che l’82% del Governatorato di Betlemme è nella zona C, ovvero controllata dall’amministrazione e dal sistema di sicurezza israeliani, esercitare la mia autorità è una sfida incredibile.

Al momento, solo 48.000 dei 200.000 abitanti del Governatorato sono cristiani. C’è anche un nuovo muro a Cremisan che porta alla confisca dei terreni di 58 famiglie cristiane. Il legno d’ulivo ed i vigneti, per i quali Betlemme è famosa, saranno confiscati. Tutto questo – il muro, i problemi economici e la mancanza di opportunità – chiaramente si riflette sulla qualità della vita. Quando parlo di Betlemme, la presenza dei cristiani è davvero cruciale, non solo per noi ma per tutta la comunità cristiana nel mondo. Noi siamo qui per tutti voi.


Lei è il primo sindaco donna di Betlemme, cosa può dirci del ruolo che svolgono le donne nella società palestinese e della relazione tra le donne musulmane e cristiane al servizio della pace nella sua terra?

 

Le donne sono parte della comunità palestinese e noi affrontiamo tutte le difficoltà insieme agli uomini. Essere la prima donna sindaco nella storia di Betlemme è una conquista ma anche una sfida.

Sto provando a guidare la città dal punto di vista di una donna. Noi siamo biologicamente programmate per dare la vita e per metterci a servizio. Ci interessiamo immediatamente agli altri e vogliamo vedere la vita fiorire intorno a noi. Nel mio caso ho ricoperto la carica di Sindaco negli ultimi tre anni e non mi sono mai presa un giorno di vacanza. Questo perché ascolto tutte le sfide che le persone affrontano e mi dono completamente.

Le donne in Palestina, che siano cristiane o musulmane, affrontano le stesse sfide, le stesse restrizioni e lo stesso tasso di disoccupazione. Che siano cristiane o musulmane, sono le madri delle vittime, le madri dei giovani disoccupati, le mogli degli uomini disoccupati e delle vittime. Esse stesse sono disoccupate, e vittime. Pertanto soffrono il doppio.


L’educazione è al centro della sua carriera professionale, visto che lei è una professoressa. Che ruolo gioca l’istruzione nel sostenere i giovani di Betlemme? Quali sfide affrontano i giovani?

 

I giovani – e a Betlemme il 50% della popolazione ha meno di 29 anni – sono altamente istruiti. L’educazione per noi non è solo un diritto ma un dovere nazionale. Tuttavia a Betlemme abbiamo il più alto tasso di disoccupazione della Cisgiordania (27%) e il più alto tasso di povertà (22%). Le persone che rimangono a Betlemme hanno studiato ma si adattano a lavorare in campi diversi da quelli per cui sono stati formati.

Il tasso di disoccupazione è alto nonostante Betlemme sia una città turistica. Ogni volta che ci sono dei conflitti, il turismo viene seriamente danneggiato. Qui abbiamo 33 hotel e molti ristoranti di qualità ma, senza una soluzione e l’indipendenza, fin quando continuerà il conflitto le nostre vite ed attività saranno compromesse. Di conseguenza, le persone tendono a cercare di farsi una vita al di fuori di Betlemme.


Quale messaggio universale ha visto dietro la recente canonizzazione da parte di Papa Francesco di due donne palestinesi, una delle quali ha segnato la storia di Betlemme?

 

Se ci sono santi viventi sulla terra, Papa Francesco è uno di loro. Quando è venuto a Betlemme, quando ci ha ascoltato, quando siamo andati da lui, quando abbiamo pregato insieme in quanto cristiani, ebrei e musulmani, egli ha riconosciuto i nostri diritti come esseri umani, come palestinesi e come cristiani.

La canonizzazione di due sante arabe ha reso nota la santità di una terra che non vive in pace. Affermandone la santità, Papa Francesco ha riconosciuto i diritti delle persone che vivono in questo paese. Oltre alla canonizzazione, egli ha riconosciuto lo Stato di Palestina. Ha alzato la bandiera palestinese in Vaticano e ha ricordato al mondo, noi inclusi, che la nostra è la Terra Santa e la fonte della santità.


Dopo la formale ratifica dell’Accordo Globale tra lo Stato di Palestina e la Santa Sede che ha menzionato, quali sono i prossimi passi che devono essere intrapresi?

 

Questa decisione di Sua Santità deve essere considerata dalle Nazioni Unite. Israele è stato riconosciuto come stato dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale e noi, da palestinesi, l’abbiamo riconosciuto. E’ incredibile ed assolutamente ingiusto che, fino ad oggi, lo Stato di Palestina non sia pienamente riconosciuto dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale, gli stessi che hanno riconosciuto Israele. Questo è un punto cruciale e la cosa più importante.

Stiamo facendo di tutto per vivere in pace ma penso che sia il momento che il mondo si prenda le proprie responsabilità. Questo è il motivo per cui chiediamo un intervento internazionale in Palestina per fermare quello che sta succedendo. Ciò che porterà la pace è il riconoscimento e, di conseguenza, la pace porterà la sicurezza, non il contrario.


Il Natale si sta avvicinando. Come vive questo momento speciale dell’anno?

 

Ora che il Natale si avvicina, qui a Betlemme stiamo riflettendo sul significato dell’essenza di questa celebrazione in mezzo alle uccisioni che avvengono in Palestina dovute ai recenti tumulti. Abbiamo deciso che il mercato di Natale e l’illuminazione dell’albero ci saranno. Sarà una celebrazione nazionale durante la quale potremo condividere il messaggio di Betlemme con tutto il mondo.

Il nostro motto di quest’anno per la celebrazione natalizia sarà “nella terra di Palestina c’è ciò che merita la pace”. Il poeta palestinese Mahmoud Darwish ha detto: “in questa terra c’è ciò che merita la vita”. La nostra vita, nella sua bellezza e santità, merita di rimanere qui e di andare avanti, di provare gioia e di affrontare le sfide che ci si presentano. Abbiamo preso questa frase, abbiamo sostituito la parola “vita” con “pace” e abbiamo applicato questo messaggio a Betlemme.

Sembra che nessuno si renda conto che Betlemme, la città che ha donato il messaggio di pace a tutto il mondo a Natale, continua a dare questo messaggio oggi, nonostante il fatto che non viva in pace. Le pietre - la terra - e le pietre viventi - le persone- meritano la pace.

Il 5 dicembre, do il messaggio di Betlemme a tutto il mondo al momento dell’accensione delle luci dell’albero di Natale. Ogni volta spero di poter dire: “Grazie Dio, grazie umanità per aver portato la pace in Palestina e a Betlemme”. Vorrei poterlo dire. Ma ogni volta vado e dico “Preghiamo di poter avere la pace” poiché la pace non è ancora stata raggiunta.


Per lei, in quanto Sindaco di Betlemme, che cosa rappresenta concretamente l’Ordine del Santo Sepolcro, istituzione pontificia che supporta materialmente il Patriarcato Latino di Gerusalemme? Che cosa si aspetta dai suoi membri e cosa potrebbero fare relativamente alla situazione attuale nel suo paese?

 

L’Ordine del Santo Sepolcro ha una relazione diretta ed istituzionalizzata con il Patriarcato Latino di Gerusalemme. Io, da sindaco, ed i cittadini non abbiamo un contatto diretto con voi, ma sappiamo che sostenete le scuole e molti altri aspetti che aiutano i fedeli cattolici in Terra Santa. Sono stata una professoressa all’Università di Betlemme, e poi preside di una scuola greco-cattolica per un anno e mezzo, dunque so che una buona percentuale delle rette degli studenti sono coperte dall’Ordine del Santo Sepolcro e da altre istituzioni. Questo sostegno arriva attraverso il Patriarcato e dunque non ne conosciamo i dettagli. Tuttavia so che i membri dell’Ordine sono molto legati alla Terra Santa, li vedo spesso a Betlemme e apprezzo veramente tutto quello che fate. Mantenere la speranza e aiutare le persone a rimanere qui è un aspetto cruciale e questo è quello che voi fate.


C’è un pensiero finale che vuole condividere?

 

La vita è fatta di voci e per operare un cambiamento serve una voce coraggiosa e fedele che dica la verità. So che, come cristiani, il nostro Signore Gesù ci ha insegnato che, se non siamo capaci di dire la verità, è meglio tacere. Visto che stiamo tutti affrontando la realtà di Betlemme, e che vediamo quello che sta succedendo qui in Palestina, io chiedo che tutte le voci sincere dicano la verità senza paura: Betlemme, la città della pace, non è in pace, e questa è un’enorme disgrazia.


Intervista a cura di Elena Dini


(21 dicembre 2015)