L'obbligo di riaccendere la speranza

Intervista a Padre Rifat Bader sul sostegno della Chiesa ai migranti in Giordania

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L'obbligo di riaccendere la speranza La Chiesa Cattolica in Terra Santa è molto impegnata nell’accoglienza dei rifugiati del Medio Oriente, soprattutto nell’organizzazione dei servizi scolastici dei bambini e dei giovani. L'Ordine ha largamente contribuito a queste azioni nel 2015 attraverso una generosa donazione alla Caritas giordana.

Padre Rifat Bader è il direttore del Catholic Center for Studies and Media in Giordania e parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Naour. La Chiesa Cattolica in Giordania è parte integrante del Patriarcato Latino di Gerusalemme, insieme a quella in Israele, Palestina e Cipro. In questa intervista padre Bader ci racconta dell’impegno della Chiesa Cattolica nel sostegno ai numerosi migranti che fuggono dalla Siria e dall’Iraq.

 

Come sta affrontando la Chiesa cattolica in Giordania l’arrivo di un grande numero di rifugiati dal Medio Oriente? Quali sono le diverse iniziative portate avanti dalle organizzazioni – cattoliche o non cattoliche – per aiutarli?

La Chiesa Cattolica ha fatto il suo meglio negli anni scorsi per fornire tutti i servizi necessari ai cristiani che sono stati costretti a lasciare la Siria e l’Iraq. Attraverso il suo “braccio sociale”, la Caritas, la Chiesa è riuscita a trovare loro una sistemazione presso le varie chiese e centri cristiani ad Amman e nelle altre città giordane. Ha anche potuto offrire gratuitamente la possibilità ai bambini di studiare nelle scuole cattoliche, grazie agli aiuti della Conferenza episcopale italiana. Queste famiglie hanno inoltre avuto l’opportunità di lavorare presso delle istituzioni cattoliche in Giordania per potersi sostenere economicamente.

Caritas Jordan ha fornito assistenza medica gratuita agli iracheni. Inoltre, con l’apertura del “Ristorante della Misericordia” ad Amman, che dà pasti gratuiti tutti i giorni ai poveri e bisognosi, vari migranti iracheni hanno beneficiato anche di questo servizio.

Oltre alla Caritas, fra le principali istituzioni cattoliche di sostegno, contiamo l’ufficio giordano della Pontifical Mission e l’associazione spagnola dei Missionari della Pace.

Organizzazioni caritatevoli locali, incluse le scuole pubbliche, si sono fatte carico della responsabilità di sostenere i migranti nel campo dell’educazione. Altre istituzioni non cattoliche, come la Holy Bible Association e il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, hanno lavorato per aiutare in campi specifici.

Grazie al Catholic Center for Studies and Media, affiliato al Patriarcato Latino di Gerusalemme, abbiamo potuto diffondere attraverso i social media e il nostro sito www.abouna.org (in inglese e arabo) foto e notizie del sostegno ai poveri e bisognosi, senza discriminazioni.


Fra coloro che arrivano ci sono molti bambini e accanto alla sua parrocchia è stata attivata una scuola per questi giovani migranti. Ci può raccontare qualcosa in più riguardo a questa iniziativa?

Un totale di 290 studenti siriani si sono iscritti alla scuola accanto alla Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Naour. Gli studenti hanno fra i 4 e i 15 anni. Frequentano le lezioni il lunedì, martedì e mercoledì dalle 16 alle 19. Fra loro ci sono 120 studenti che frequentano le scuole pubbliche e hanno problemi di apprendimento. Per loro ci sono lezioni di recupero il sabato dalle 15 alle 20. Questa scuola ha aperto le porte agli studenti il 19 gennaio 2016. Ci sono altre dieci scuole per i bambini siriani organizzate dalla Caritas in varie città e villaggi.


Qual è la ragione che vi spinge a lavorare così intensamente nell’accogliere i rifugiati?

La Giordania è un porto sicuro per la pace nella regione. Il nostro dovere, in quanto cittadini e cristiani, è quello di alleviare le sofferenze delle persone. Mi sono reso conto che questa gente ha perso tutto nella vita: case, lavori, proprietà, attività. Hanno anche perso ogni barlume di speranza di poter vivere una vita senza problemi. Hanno perso il loro futuro ed è nostro dovere ridare loro speranza con i mezzi che abbiamo. Questo è il messaggio che abbiamo imparato dal Vangelo.


Come può l’esperienza positiva fra cristiani e musulmani in Giordania essere d’esempio per le relazioni interreligiose in Medio Oriente?

Stiamo facendo del nostro meglio per creare relazioni fraterne fra cristiani e musulmani in Giordania attraverso seminari e conferenze che invitano al dialogo, alla tolleranza e alle relazioni cordiali. Abbiamo anche iniziato un piano per effettuare cambiamenti importanti nei curricula scolastici, mirando a sottolineare il ruolo cristiano nella regione e a diffondere uguaglianza e relazioni fraterne fra i seguaci delle due religioni. Il successo totale di questa iniziativa richiederà tempo ma credo che otterremo buoni risultati perché la società giordana è nota per essere pacifica e armoniosa.


Come affrontate le questioni interculturali ed interreligiose con i migranti? Come rendere le differenze una fonte di reciproco arricchimento?

Non ci sono sostanziali problemi interculturali dato che giordani, siriani e iracheni condividono in gran parte la stessa cultura. Per quanto riguarda le questioni interreligiose vengono facilmente affrontate offrendo equo sostegno, senza discriminazione, ai cristiani e ai musulmani. In altre parole, le differenze religiose non servono da “pietra d’inciampo” perché l’amore dimostrato concretamente verso i musulmani colma le distanze e crea un’atmosfera di amore e accettazione dell’altro. Negli scorsi secoli, le nostre scuole cristiane in Giordania hanno contribuito al miglioramento degli standard educativi di studenti musulmani che ora occupano ruoli chiave nel paese e che hanno uno sguardo positivo verso i cristiani.


Come vede il prossimo futuro della sua terra? Quali sono i possibili scenari per la Giordania?

Credo che la Giordania rimarrà un paese stabile, nonostante i recenti ostacoli alla sicurezza e la presenza di terroristi sul suo territorio affiliati ai gruppi militanti attivi nei paesi vicini. La Giordania ha sempre svolto il ruolo di moderatore e opera da baluardo contro l’estremismo e il terrorismo. In breve, la nostra nazione è una casa sicura su una strada che sta andando a fuoco e il nostro compito è duplice: mantenere in salvo la nostra casa e aiutare i cittadini della strada a spegnere il fuoco.


Intervista a cura di Elena Dini


(5 aprile 2016)